Che poi, gira che ti rigira, da dire non c’è molto.
Tolte le chiacchiere sul condominio e il riscaldamento e l’infiltrazione, al netto delle parole sullo stato di salute, le visite mediche, gli interventi, gli esami, e sfrondate le ipotesi di feste di compleanno, cene di compleanno, regali di compleanno, resta poco.
Praticamente niente.
Uno è tornato dal viaggetto periodico di partecipazione a concerti in varie e disseminate cittadine europee e, dopo l’aggiornamento minuto per minuto, corredato da documentazione fotografica, se ne sta accasciato sul letto, pronto a ricominciare il ciclo quotidiano di noia e fastidio.
Altri non si smuovono di un infintesimo spaziale da quella ciclicità fatta di routine smussata da ogni possibile ed eventuale emozione: lavoro, mangiare, risoluzione di problemi contingenti, dormire. Fine.
Un universo tondo di incasellamenti. Potrei sentire ogni rintocco che scandisce lo scorrimento omogeneo. Appena un lieve fruscio di fondo. Niente tonfi, niente urla, nessuno scroscio di risa.
Tento di trovare una legge universale determinante la condizione osservata. L’anno bisestile, l’anno giubilare, il moto dei pianeti, l’economia globale. BOH.
Di fatto posso pensare di sentirmi legittimata ad accomodarmi su questo sofà di piattume. Posso mettermi in coda al casello dell’esistenza, un passetto alla volta, dritti e senza scossoni fino al dazio finale.
Il problema è che io lo so. Non ne ho il sospetto, non ho qualche dubbio, non ho una perplessità che si tramuta in malore, rancore, insoddisfazione, ansia, rabbia, sonno, fame.
Semplicemente, lo so. E saperlo lo rende intollerabile.